Perché proponiamo le vacanze ai nostri ragazzi? È questa la domanda che mi sono fatto a metà giugno, quando ho intuito che, nonostante la responsabilità fosse alta e le condizioni non propriamente favorevoli, ci sarebbe potuto essere qualche spiraglio per farle. Qualcuno ha pensato che le proponessimo per combattere il distanziamento fisico che ci è stato imposto: “dopo tutto questo tempo è bene che i ragazzi stiano un po’ assieme” mi è stato detto. Ma questa non è una risposta che sento mia. In quante occasioni i ragazzi stanno assieme senza fare nulla di buono per se stessi o addirittura fanno qualcosa di dannoso?
La domanda che più mi ha spinto a proporre le vacanze dopo questi mesi di inevitabile lockdown è stata: ma oltre a preoccuparsi della salute di questi ragazzi, in questi mesi qualcuno ha chiesto loro “come stai?”. Forse qualcuno di loro ha dovuto assistere alla malattia di qualche persona cara senza neppure poterla incontrare per consolarla, magari addirittura ha dovuto aver a che fare con la morte di una persona cara. Forse qualcuno di loro ha dovuto assistere, chiuso in casa, ai continui litigi dei genitori, oppure all’assenza di qualcuno di essi. Forse qualcuno di loro ha dovuto assistere alla preoccupazione dei genitori per il lavoro, per tirare fine mese. O chissà che altro. Ma chi gli ha chiesto “come stai?”, “di cosa hai paura?”, “cosa desideri?”. Qualcuno si è preoccupato del loro cuore oltre che della loro salute?
Così è nato l’invito ad adulti ed educatori di guidare la vacanza, almeno per le medie e le superiori, immediatamente molti hanno risposto: “ci sono”. Abbiamo lanciato la proposta e in pochi giorni si sono iscritti per il turno delle medie 35 ragazzi e per le superiori 17. Quanta fiducia e quanta stima hanno dimostrato con questo gesto le famiglie che li hanno iscritti! Alcune addirittura mi hanno scritto dicendo che, per altri programmi, non potevano mandare i figli ma hanno voluto ringraziare per il solo fatto di averla proposta. Così, in un paio di settimane, l’abbiamo messa in piedi.
È stata un esperienza incredibile. Con i ragazzi delle medie abbiamo voluto guardare in faccia alle paure vissute e qualcuno è arrivato addirittura a riconoscere e a poter confidare la paura più grande: rimanere soli. Oppure quella di non vedere più tornare la mamma che tutti i giorni andava in ospedale a lavorare. Ma capite che grazia è avere un luogo in cui si possono consegnare le proprie paure, il proprio cuore? Ma ancora più sorprendente è stato poter ascoltare alla fine della vacanza dai ragazzi stessi che una compagnia così dà la certezza di non essere mai soli. Ecco l’incontro con Gesù: un luogo, dei volti che ti fanno vivere in un modo veramente umano, senza schemi, senza riduzioni, finalmente puoi essere tu, con tutto te stesso.
Con i ragazzi delle superiori abbiamo voluto chiederci “ma io chi sono?”, al di là dell’immagine politicamente corretta che voglio dare di me o l’immagine ridotta che a volte gli altri ci affibbiano. Abbiamo scoperto che spesso le esperienze più decisive della vita vengono censurate e così non sappiamo più dire “ti voglio bene” proprio alle persone più care. Abbiamo scoperto che ci vuole qualcuno che lo ricordi, un luogo che abbiamo riconosciuto come casa. Così anche con loro abbiamo fatto dei passi da cui non si può più tornare indietro. Solo chi ha chiaro di essere un dono a se stesso, bello, non sbagliato, come spesso gli adolescenti pensano di sé o gli adulti gli fanno credere, può affrontare la realtà senza paura. In che ambiti della vita i nostri ragazzi possono fare questi passi? Forse a volte neanche in famiglia, neanche con le persone più care. Siamo troppo distratti da tante cose che riteniamo urgenti, ma che spesso non sono essenziali.
Che dono per noi adulti ed educatori che li abbiamo accompagnati. Ma che responsabilità, il nostro rapporto con loro non può più ridurre il contenuto dell’amicizia. Non si può essere amici se non per aiutarci a diventare veramente noi stessi. Il cristianesimo, ciò che viviamo in oratorio e in parrocchia è questo?
C’è il rischio che il nostro stare assieme sia ridotto ad un aspetto sociale. È bello stare assieme, ma può non essere sufficiente per crescere. Solo un rapporto che aiuti a cogliere il nesso tra la realtà e Cristo può generare una compagnia di amici chiamata Chiesa. Solo realtà di questo genere possono aiutare i nostri ragazzi a conoscere veramente se stessi e portare una novità di vita che può cambiare noi e il mondo intero. Tutte le proposte dell’oratorio e della parrocchia non possono accontentarsi di qualcosa che sia meno di questo.
Che il buon Dio risvegli in noi il desiderio di vivere, di vivere veramente!
don Andrea Plumari