martedì 16 ottobre 2012

Vivere è fidarsi
 
Sulla capacità di credere si gioca il futuro dell'umanità
di Enzo Bianchi

Dovremmo chiederci quanto dell’attuale difficoltà a credere non dipenda da un clima di progressiva sfiducia negli altri, nella situazione sociale ed economica, nel futuro stesso. Fede, infatti, è mettere fiducia, fidarsi, è un’attitudine complessiva della persona: per questo le difficoltà a credere si radicano nel profondo, nelle difficoltà stesse del mestiere di vivere. La fede, il credere è una realtà antropologica fondamentale, costitutiva dell’esistenza umana, come la ragione e il linguaggio: è un atto della libertà dell’essere umano, tanto che possiamo affermare che non ci può essere umanizzazione autentica senza fede. In altre parole, non si può essere uomini senza credere, perché credere è il modo di vivere la relazione con gli altri; e non è possibile nessun cammino di umanizzazione senza gli altri, perché vivere è sempre vivere con e attraverso l’altro. Come sarebbe possibile vivere senza fidarsi di qualcuno? A differenza degli animali, noi usciamo incompiuti dall’utero materno e per crescere come persone, per acquisire una soggettività abbiamo bisogno di qualcuno in cui mettere fede-fiducia. Anzi, fin dalla sua vita intrauterina il nascituro mette fiducia in sua madre, crede in lei quando essa per lui è ancora nient’altro che una matrice; fin dal seno di sua madre egli crede alla vita di cui si sente vivere, crede alla madre che lo porta in grembo, è come abitato da una promessa, quella di poter accedere a una vita in pienezza. Tutto questo, certamente, non nell’ordine dell’intelligenza – per quanto ne sappiamo oggi – ma in quello dell’istinto e del desiderio. È così che il bambino si abbandona, si fida della madre e, una volta uscito dall’utero, cercherà ancora questo riferimento, continuando a fidarsi della madre. In tal modo egli prenderà coscienza della sua condizione umana, sarà aiutato a «venire al mondo» proprio dalla fiducia messa in sua madre. Anche solo questa esperienza «fontale» ci rivela che nella nostra vicenda umana non è possibile crescere senza avere fiducia in qualcuno, nella madre innanzitutto e poi, più in generale, in entrambi i genitori. Quando si parla di fede occorre dunque evitare di pensare immediatamente al credere in verità, in dogmi, ma cogliere la fede innanzitutto come quell’atto che consiste nel mettere il piede sul sicuro (cf. Sal 20,8-9; 125,1; Is 7,9), nell’affidarsi come un bambino attaccato con una fascia al seno di sua madre (cf. Is 66,12-13), sicuro in braccio a lei (cf. Sal 131,2). Credere, avere fede è operazione umana; è innanzitutto «credere all’amore» (cf. 1Gv 4,16), cioè tendere a quel pieno compimento di sé che è dato da una vita in cui si ama e si è amati: questa è l’unica promessa che sta davanti a tutti gli uomini e le donne in quanto tali. Credere è un atteggiamento assolutamente necessario per accedere all’amore, perché solo il credere nell’altro può instaurare la vera comunicazione, la comunione, l’amore reciproco. Così, ritornando all’immagine usata in precedenza, capiamo quanto sia decisivo per il bambino che cresce e si umanizza il fatto che qualcuno creda in lui e che egli possa mettere fede in qualcuno; se ciò non avviene egli sarà minacciato addirittura nell’operazione di credere in se stesso. La dinamica del credere si esprime nell’essere umano attraverso cammini in cui ci si fida l’uno dell’altro, attivando la reciprocità del credere. Ma nulla è più precario dell’atto del credere; e quando la fede, il credere diventa fragile allora l’umanizzazione stessa è minacciata. Il credere nell’altro è un’operazione della persona ma anche della collettività, che deve essere capace di credere, di avere fiducia. Quando gli esseri umani credono negli altri, la loro azione assume i tratti della fraternità, della corresponsabilità, dell’amore, perché essi credono all’amore. Una storia d’amore tra un uomo e una donna, per esempio, è possibile solo quando uno crede nell’altro. È significativo che, un tempo, in una storia d’amore ci si sentiva prima fidanzati, cioè persone che danno e ricevono fede; poi si sanzionava la storia d’amore con un anello, l’anello dell’alleanza, chiamato, non a caso, fede. Allo stesso modo, quando si accoglie un nuovo nato che nutrirà i genitori con la sua presenza e li aiuterà a credere nella vita e nel futuro, si fa un’operazione di fede. Senza la nascita di uomini nuovi che succedono a chi li precede, l’umanità andrebbe verso la sua rovina naturale. Sì, senza questa fede umana, non c’è umanizzazione. Ecco perché la psicanalista e filosofa Julia Kristeva ha potuto intitolare un suo scritto: «Questo incredibile bisogno di credere». È
sulla capacità di credere che si gioca il futuro dell’umanità
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